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domenica 19 giugno 2011

Ultime dal Medioriente

Uno scacchiere in fermento e la Pace è sempre il sogno da perseguire

di Ettore Lomaglio Silvestri


Nel corso degli ultimi giorni vi sono stati alcuni eventi importanti nello scenario mediorientale. Del resto è facile osservare i diversi fattori che complicano il rapporto fra Israele e Palestina, in seguito alla primavera araba. Siria, Libano e Giordania, nonché ovviamente l’Egitto, sono i Paesi confinanti e che più hanno influito con le loro politiche. La debolezza libanese, dove Hezbollah, il partito di D-o, si è reso conto di non poter affrontare alcun impegno militare su vasta scala, forse nemmeno per recuperare le alture del Golan.

La profonda crisi della Siria, il cui governo è ormai inviso alle altre nazioni, per il modo in cui sta reprimendo le manifestazioni di protesta. La Giordania, dove si sente molto la mancanza dello scomparso re Hussein, dalle profonde capacità diplomatiche. Ed infine, l’Egitto, dopo la caduta di Hosni Mubarak, ha perso la sua autorevolezza di mediatore. Dietro tutto questo compare una potenza che, però, gioca tutto sul terrore, per nascondere le sue profonde fratture interne. Una potenza che sta ricreando nelle altre nazioni, secondo Edward Luttwak, la sindrome di Mussolini. Ossia l’Iran, un grande pallone gonfiato che nasconde dietro la minaccia nucleare la sua incapacità di mettere in campo una forza offensiva valida. Vi è anche da dire che persino la capacità di manovrare le forze terroristiche talebane, non è come si pensa. Ma l’Iran potrebbe fomentare l’odio contro Israele. I ripetuti proclami dell’ebreo “converso” Mahmoud Ahmadinejad alla distruzione di Israele, sembrano tanto i richiami del nostrano Bossi alla secessione. Slogan per tenere unito un popolo che invece non ha nulla a che vedere con lui.

Questo però, in uno scenario dove vengono a mancare i contrapposti di governi stabili nei Paesi succitati, non può far altro che costituire terreno fertile alla zizzania iraniana. Ed Israele ha fiutato il pericolo, come dimostra il fatto che il capo di stato maggiore del suo esercito ha rafforzato lo schieramento di truppe ai confini con Libano e Siria, nonostante Benjamin Netanyahu al Congresso americano avesse indicato come positiva per Israele la primavera araba.
Vi è stata poi l’apertura del valico di Rafah decisa dall’Egitto, il valico che unisce quest’ultimo alla Striscia di Gaza. Un’apertura che ha profondi significati. Di certo, come analizza Victor Kotsev dell’Asia Times, non può essere considerato come un gesto a favore di Hamas e, nemmeno, come uno schiaffo alla politica israeliana ed americana. E’ un gesto che è visto bene anche dagli analisti israeliani, presumibilmente perché apre un nuovo sbocco che potrebbe alleggerire i già sovraccarichi e molto tesi confini con Israele. Ricordiamo che nella Striscia di Gaza la maggioranza ha votato Hamas, quindi la popolazione ivi residente è molto contraria ad Israele, e quest’ultima non ha nulla in contrario a cedere questo territorio ritenuto poco strategico, a differenza della Cisgiordania.

Inoltre vi è stata la proposta della Francia, purtroppo non accettata, di organizzare una conferenza di Pace fra Israele e Palestina con i parametri stabiliti da Barack Obama, che vedono come punto di partenza i confini del 1967, confini che, in realtà, sono delle linee di arresto.
Purtroppo tale conferenza non ci sarà, e il rischio di un buio diplomatico dopo settembre aumenta.
Anche ieri il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, nell’incontro tenutosi con Silvio Berlusconi, ha ribadito (insieme al premier italiano) il no alla creazione unilaterale di uno Stato indipendente della Palestina, ma il sì ai dialoghi diplomatici tesi ad un duplice riconoscimento. Le soluzioni unilaterali bloccano la Pace. Sarà fondamentale che Hamas riconosca lo Stato di Israele, perché Israele non ha nessuno problema a riconoscere lo stato palestinese.


Vorrei ricordare un paio di cose. Qualche anno fa, dopo l’intifada di al-Aqsa, ci si rese conto che non era possibile considerare come soggetti univoci né Fatah né Hamas. All’interno di quest’ultimo vi sono tre fazioni. Quella moderata che sarebbe favorevole a sostenere Abu Mazen, e due fazioni fortemente estremiste, tra cui quella delle brigate Ezzedin al-Qassam, che potrebbero addirittura scindersi dalle altre due per portare avanti la loro intifada. E sono proprio queste ultime che potrebbero trarre vantaggio da un mancato accordo e, quindi, dalla debolezza di Abu Mazen, incassando il sostegno dell’Iran e destabilizzando perennemente la situazione, specialmente considerando che vi è la presenza di cellule di al-Qaeda non solo nella striscia di Gaza ma anche nella West Bank. Tutto questo, allora, era a sostegno della necessità che Fatah ed Hamas raggiungessero un accordo, visto che gli accordi (sostenuti dall’Arabia Saudita) che portarono al governo di unità nazionale nel 2007, fallirono subito perché non erano basati su un vero accordo.

Ci si chiede come mai, quindi, oggi questo accordo tra Fatah ed Hamas venga visto come pericoloso per Israele. Ribadisco che l’impegno è quello indurre alla democrazia Hamas, facendole fare lo stesso percorso che ha fatto Fatah in 19 anni. Non dimentichiamo che Fatah è partito dalle stesse posizioni di Hamas oggi, con la guida di Yasser Arafat. Si rafforzi quindi l’autorevolezza di Abu Mazen, consentendogli di avere l’appoggio anche di Hamas, e si chieda a lui, in nome di Fatah e Hamas, di riconoscere lo Stato di Israele come Stato degli Ebrei. Di certo Netanyahu riconoscerà la Palestina come lo stato dei Palestinesi.

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