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giovedì 14 luglio 2011

Palestina ed ISraele: la lunga strada verso la Pace

Il link per il mio ultimo editoriale

Negli ultimi giorni cresce lo sconforto dopo le dichiarazioni del primo ministro israeliano Nethanyahu il quale ritiene che il conflitto non finirà mai. Ma ora la patata bollente è nelle mani delle Nazioni Unite. Analizziamo il perché con un breve excursus storico.
L’Organizzazione delle Nazioni Unite è nata dalle ceneri della Società delle Nazioni. Il sogno di Woodrow Wilson, polverizzato dalla seconda guerra mondiale, rinasce come una fenice grazie all’impegno sorto dopo la conferenza di Yalta. Nel corso della sua storia ha svolto un poderoso compito stanza di compensazione fra i suoi membri, ma, soprattutto, è stato fondamentale per il riconoscimento di ogni nazione.
Nel 1947, con la risoluzione 181, decise, a conclusione del Mandato britannico nella Palestina, che dovevano nascere due Stati, all’incirca delle stesse dimensioni (16mila kmq Israele e 14mila kmq la Palestina), in cui sarebbero vissuti i due popoli già presenti sul territorio.
Lo Stato di Israele si costituì immediatamente, e, nel corso degli anni, attraverso guerre, invasioni, trattati, road map e altre risoluzioni delle Nazioni Unite, ha raggiunto il suo attuale status di unica potenza democratica nel mondo arabo, all’avanguardia in ogni settore dalla medicina all’ingegneria, dalla cultura allo sport.
La Palestina, invece non è mai nata. Quel territorio di 14mila kmq che era previsto nella risoluzione 181 non è mai esistito. Ma, oggi, nelle sue due componenti della Cisgiordania (West Bank) e della Striscia di Gaza, essa richiede a gran voce il riconoscimento da parte delle Nazioni Unite senza un accordo preventivo sui confini e su tutte le altre problematiche, con Israele.
L’Assemblea Permanente delle Nazioni Unite, un organo simile al Parlamento in cui ogni Stato membro ha un rappresentante, mentre l’Autorità Nazionale Palestinese ha lo status di osservatore, si riunirà nuovamente in sessione plenaria a settembre e discuterà immediatamente la richiesta ufficiale presentata a questo riguardo. Molto probabilmente ci sarà la maggioranza necessaria, visto che già oltre cento stati riconoscono la Palestina come Stato, ma questo non vuol dire che filerà tutto liscio.

Infatti gli Stati Uniti d’America, come già sappiamo, sono fermamente contrari a questo riconoscimento unilaterale che scatenerebbe quello che è già stato definito uno “tsunami diplomatico”. Per esempio la Palestina potrebbe chiedere ad Israele il risarcimento per oltre quarant’anni di occupazione dei propri territori. Già il presidente Barack Obama ci ha assicurato personalmente che avrebbe fatto di tutto per evitare questo scontro. Ora, con il Segretario di Stato Hillary Clinton, ha deciso di utilizzare il suo diritto di veto al Consiglio di Sicurezza. Infatti quest’ultimo organo (simile ad un “Politbjuro”), costituito da cinque Stati permanenti  ed altri temporanei, deve fornire, prima del voto dell’Assemblea, una raccomandazione affinché venga discussa l’ammissione di un nuovo Stato alla stessa.

I cinque Membri permanenti hanno ciascuno il diritto di veto. Questo, nel corso della guerra fredda, è stato esercitato spesso in senso negativo, specie nei momenti più bui degli scontri USA-URSS e USA-CINA, ma oggi potrebbe evitare un disastro. Gli Stati Uniti stanno cercando di ottenere la collaborazione anche degli altri Membri Permanenti in modo da dare una sensazione non di contrasto alla politica palestinese, ma di fermezza riguardo la necessità di un accordo con Israele su frontiere, rientro dei coloni e dei profughi palestinesi ecc.ecc.

Resta il fatto che, come extrema ratio, Barack Obama potrà esercitare da solo il diritto di veto ed evitare che il Consiglio di Sicurezza faccia questa “raccomandazione” e così l’Assemblea non potrà votare il riconoscimento unilaterale dello Stato della Palestina.
Importante è rilevare che lo Stato della Palestina ha tutto il diritto di esistere, ma non dovrà mai avere come obbiettivo la distruzione dello Stato di Israele.

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